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<title>Samuele – Shaleku</title>
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<description>Organizzazione di volontariato (ODV) per l'Eritrea</description>
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<title>L’Eritrea rientra a far parte dell’Unione Africana</title>
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<pubDate>Sat, 12 Feb 2011 15:49:20 +0000</pubDate>
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<description><![CDATA[L’Eritrea torna a far parte pienamente dell’Unione africana (Ua) dopo anni di assenza. E’ stato il presidente dell’organismo, il gabonese di origine cinese Jean Ping, a ricevere le credenziali dell’ambasciatore eritreo Girma Tesfay e a dargli il benvenuto a nome dell’intero continente. “Il ritorno di Asmara nel seno dell’Unione africana”, ha detto il diplomatico, “e’ […]]]></description>
<content:encoded><![CDATA[<p style="text-align: justify;">L’Eritrea torna a far parte pienamente dell’Unione africana (Ua) dopo anni di assenza. E’ stato il presidente dell’organismo, il gabonese di origine cinese Jean Ping, a ricevere le credenziali dell’ambasciatore eritreo Girma Tesfay e a dargli il benvenuto a nome dell’intero continente. “Il ritorno di Asmara nel seno dell’Unione africana”, ha detto il diplomatico, “e’ stata la mia priorita’ sin da quando tre anni fa sono stato eletto presidente e sono sicuro che l’Eritrea esercitera’ un ruolo significativo per lo sviluppo, la stabilita’ e la pace in Africa”. Si parla gia’ dell’invio di truppe eritree nelle missioni umanitarie e di peacekeeping organizzate e gestite dall’Ua in diverse nazioni del continente. La sede dell’Ua si trova ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, Paese da cui l’Eritrea si separo’, dopo anni di conflitto, agli inizi degli anni Novanta e con il quale non ha mai stabilito relazioni diplomatiche.</p>
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<title>DAL CAMPIDOGLIO OLTRE 400 CANDELE PER ‘FARE LUCE’ SUI PROFUGHI SEQUESTRATI NEL SINAI</title>
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<dc:creator><![CDATA[Samuele]]></dc:creator>
<pubDate>Sat, 05 Feb 2011 22:48:38 +0000</pubDate>
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<description><![CDATA[1° febbraio 2011- Grande successo per la Fiaccolata promossa oggi pomeriggio a Roma, sulla Scalinata del Campidoglio da CIR; Agenzia Habeshia, A Buon Diritto e Centro Astalli: oltre 400 persone, in rappresentanza di oltre 50 associazioni, hanno partecipato all’iniziativa chiedendo la liberazione dei profughi sequestrati nel Sinai. Presenti, tra gli altri: il Presidente del CIR […]]]></description>
<content:encoded><![CDATA[<p>1° febbraio 2011- Grande successo per la Fiaccolata promossa oggi pomeriggio a Roma, sulla Scalinata del Campidoglio da CIR; Agenzia Habeshia, A Buon Diritto e Centro Astalli: oltre 400 persone, in rappresentanza di oltre 50 associazioni, hanno partecipato all’iniziativa chiedendo la liberazione dei profughi sequestrati nel Sinai. Presenti, tra gli altri: il Presidente del CIR Savino Pezzotta e il Direttore Christopher Hein, il Presidente di A buon Diritto Luigi Manconi, il Direttore del Centro Astalli padre Giovanni La Manna, il responsabile dell’Agenzia Habeshia don Mussie Zerai, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il consigliere della Regione Lazio Isabella Rauti,l’on.le Jean Léonard Touadi, l’ex Vice Presidente del Parlamento europeo Luisa Morgantini, la portavoce dell’UNHCR Laura Boldrini. L’iniziativa è stata patrocinata da Comune e Provincia di Roma e dalla regione Lazio.</p>
<p>Presenti anche molti rappresentanti di enti di tutela- tra cui padre Gnesotto (Fondazione Migrantes): Miraglia (Arci), Russo (Acli), Soldini (CGIL) e Casucci UIL- e rifugiati del Corno d’Africa</p>
<p>Il Direttore del CIR, Christopher Hein, – si legge in una nota dell’ADN Kronos- ha sottolineato che l’intento della manifestazione era quello di “allarmare e sensibilizzare l’opinione pubblica e politica sul dramma, che ormai da piu’ di due mesi, si consuma nel Sinai. Basta con il silenzio della comunita’ internazionale”.</p>
<p>“Questa mattina – ha dichiarato Hein – abbiamo avuto un incontro alla Farnesina (con i sottosegretari al Ministero per gli Affari Esteri ndr) dove abbiamo potuto parlare della situazione dei sequestrati. Abbiamo parlato anche della prevenzione affinche’ nuovi profughi non entrino ancora in questa trappola. Dal governo italiano mi aspetto da una parte, che non si dimentichi del destino di queste persone e, dall’altra, che venga fatto il possibile per arrivare alla loro immediata liberazione e, una volta liberati, che vengano fatti venire in Europa”.</p>
<p>“Chiediamo che nei paesi di transito come Sudan e Libia sia fatto un’opera di prevenzione, affinche’ altri siano informati e scoraggiati nel fare lo stesso viaggio. La causa di tutto questo – ha sottolineato Hein – e’ anche la chiusura della frontiera europea, come nel caso dell’Italia. Il respingimento dei profughi in Libia e’ stato solo la punta dell’iceberg. Simili politiche sono state fatte anche da Spagna e Grecia, quindi non si entra piu’ in Europa cosi’ le persone sono costrette a questo tipo di viaggi”.</p>
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<title>Eritrei nel Sinai, il racconto di un profugo</title>
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<dc:creator><![CDATA[Samuele]]></dc:creator>
<pubDate>Sun, 23 Jan 2011 22:37:47 +0000</pubDate>
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<description><![CDATA[La testimonianza: “Ci avevano convinto che saremmo potuti entrare in Israele senza difficoltà e che erano esperti. Nessuno dei gruppi che avevano accompagno, ci assicuravano, è stato preso dalla polizia. Bastava pagare 3.000. Ci picchiano a bastonate – ha riferito il profugo – con maniacale regolarità: due volte al giorno” Rafah, 18 gennaio 2011. Un […]]]></description>
<content:encoded><![CDATA[<p><em>La testimonianza: “Ci avevano convinto che saremmo potuti entrare in Israele senza difficoltà e che erano esperti. Nessuno dei gruppi che avevano accompagno, ci assicuravano, è stato preso dalla polizia. Bastava pagare 3.000. Ci picchiano a bastonate – ha riferito il profugo – con maniacale regolarità: due volte al giorno”</em></p>
<p>Rafah, 18 gennaio 2011. Un giovane eritreo, padre di famiglia, racconta l’inganno dei trafficanti che avevano propagandato un viaggio facile, dal Sudan verso Israele. Il racconto è stato raccolto, ancora una volta, da padre Moses Zerai, direttore dell’Agenzia eritrea Habeshia. “Ci hanno convinto che saremmo potuti entrare in Israele senza difficoltà – ha detto il giovane – perché ci hanno detto che erano esperti. Nessuno dei gruppi che avevano accompagno, ci assicuravano, è stato preso dalla polizia. Bastava pagare 3.000 dollari e potevamo fare il viaggio della speranza fino in Israele. Arrivati nel deserto del Sinai ci hanno invece portato dentro questi container sotterranei, al confine con Israele”.</p>
<p>Il mediatore. E’ un eritreo che si chiama Tesfamicael Araya. “Il quale ci ha fatto dare i soldi al trafficante, che ci ha portati dal Sudan nel Sinai, questo trafficante appartiene all’etnia Rashiayda, se n’è andato in Sudan consegnandoci nelle mani di un suo parente residente nel Sinai, il quale a sua volta ci ha venduti ad un altro gruppo di trafficanti, che poi è quello che ci tiene ora prigionieri. Siamo stati tenuti al buio per dieci giorni – ha proseguito il testimone – senza sapere il perché, poi ci ha detto che il primo trafficante era scappato con i nostri soldi e dunque non potevamo continuare il viaggio. Il nuovo ‘padrone’ voleva 10.000 dollari per liberarci. Eravamo una sessantina di persone, poi ci hanno divisi”.</p>
<p>Le bastonate quotidiane. “E’ ormai un mese – prosegue il racconto del giovane profugo – che siamo in questa situazione, siamo in 38, di cui 8 sono donne, tutti costretti a mangiare una pagnotta al giorno. Ci picchiano a bastonate con maniacale regolarità: due volte al giorno, e ci sono due addetti a questo compito, uno ci picchia di giorno l’altro di notte, spesso sono drogati. Comunque la tortura consiste nel non farci dormire di notte. Ormai molti parenti del gruppo stanno pagando, siamo rimasti in 11 persone che non abbiamo versato un euro dopo i 3.000 pattuiti all’inizio. Tra noi c’è una donna che non ha nulla e un ragazzo orfano che sicuramente non potranno pagare. Insomma, siamo ancora qui, tenuti in catene mani e piedi. Qui vicino c’è un aeroporto utilizzato delle forze ONU. Sentiamo atterrare e partire aerei. Salvateci. Fate qualcosa”.</p>
<p>Restano 27 ostaggi. Nel frattempo, mentre l’Egitto – come fa sapere EveryOne in una nota stampa – ha annunciato un massiccio intervento contro i trafficanti del Sinai, con un’unità speciale anti-terrorismo agli ordini del Generale Najab e con la supervisione del capo dell’intelligence per il nord del Sinai Generale Svillan, i predoni di Abu Lafi e del suo luogotenente Abu Khaled accelerano la liberazione degli ostaggi, anche di quelli che non sono riusciti a completare il pagamento del riscatto. Secondo don Moses Zerai, nei container-prigione interrati nel frutteto di Abu Khaled, restano 27 africani, fra cui quattro donne. Una ragazza è al sesto mese di gravidanza e probabilmente a rischio di perdere il bambino, a causa delle continue violenze.</p>
<p>Il 29 manifestazione a Milano. I maltrattamenti, dopo la campagna internazionale per la liberazione dei profughi, sono comunque diminuiti, tanto che i Medici per i Diritti Umani di Jaffa non hanno riscontrato tracce evidenti di torture visitando i migranti liberati di recente. Nel frattempo numerose adesioni raggiungono EveryOne, l’Associazione Profughi Eritrei della Lombardia e il Gruppo Facebook “Per la liberazione dei prigionieri nel Sinai” riguardo alla manifestazione prevista per il 29 gennaio davanti alla Rappresentanza della Commissione europea a Milano.</p>
<p>fonte: repubblica.it</p>
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<title>A che punto è la notte nel Sinai?</title>
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<dc:creator><![CDATA[Samuele]]></dc:creator>
<pubDate>Sat, 15 Jan 2011 23:35:53 +0000</pubDate>
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<description><![CDATA[Situazione attuale dei profughi africani nelle mani dei predoni in Egitto, reazioni da parte delle istituzioni internazionali, prospettive e speranze sia per la sorte dei migranti ancora in catene, sia riguardo all’urgenza di iniziare a combattere efficacemente il traffico di migranti, di schiavi e di organi umani. Milano, 15 gennaio 2011. E’ ormai da quasi […]]]></description>
<content:encoded><![CDATA[<p><em>Situazione attuale dei profughi africani nelle mani dei predoni in Egitto, reazioni da parte delle istituzioni internazionali, prospettive e speranze sia per la sorte dei migranti ancora in catene, sia riguardo all’urgenza di iniziare a combattere efficacemente il traffico di migranti, di schiavi e di organi umani.<span id="more-943"></span></em></p>
<p>Milano, 15 gennaio 2011. E’ ormai da quasi tre mesi che i giovani profughi africani fuggiti dalla Libia per evitare di finire nelle carceri-lager di Al Braq e Misratah, destinate ai migranti in attesa di deportazione, si trovano nelle mani dei trafficanti. Prima di affrontare il viaggio verso Israele, la terra promessa, ognuno di loro è riuscito a procurarsi 2000 dollari, grazie ai parenti in Europa o in patria: la somma chiesta dai passatori beduini della tribù Rashaida per guidarli lungo il viaggio della speranza, fino al confine con lo stato ebraico. Durante i primi giorni in Egitto, hanno dormito in grandi tende, che i beduini montavano nel deserto in pochi minuti. A un certo punto del cammino, però, i Rashaida li consegnavano a un altro gruppo di contrabbandieri, più rudi dei primi e armati di moderni kalashnikov.</p>
<p>Erano i trafficanti della famiglia Sawarqa e da quel momento la speranza dei 250 profughi eritrei, etiopi, somali e sudanesi si trasformava in un incubo. Venivano condotti nel quartiere meridionale di Rafah, nel nord del Sinai, all’interno di una green-house recintata. Il beduino palestinese Abu Khaled, noto guerrigliero di Hamas e schiavista, l’etiope rinnegato Fatawi Mahari e 20 predoni-guerriglieri erano adesso i loro carcerieri. Incatenati alle caviglie e chiusi in gruppi all’interno di container metallici interrati, ricevevano una pagnotta al giorno, acqua sporca e raramente mezza scatola di sardine. I trafficanti lasciavano loro i telefonini, perché potessero comunicare con i parenti e chiedere denaro. A ognuno dei profughi venivano chiesti altri 8000 dollari. Nel primo periodo di detenzione a Rafah, tre ragazzi africani erano freddati a colpi di pistola. Pochi giorni dopo altri tre venivano massacrati a bastonate. Successivamente due diaconi ortodossi facevano la stessa fine. Altri erano ridotti in fin di vita.</p>
<p>Abu Khaled spiegava le modalità del pagamento del riscatto: i parenti dovevano versare a più riprese quote di 300 o 500 dollari, avvalendosi dell’agenzia di money transfer Western Union: una forma di pagamento difficilmente rintracciabile, perché una volta versato, sempre a beneficiari diversi, il denaro poteva essere incassato in qualsiasi città all’interno dell’Egitto. Gli aguzzini torturavano i prigionieri con ferri roventi, batterie e cavi elettrici, coltelli e frammenti acuminati di vetro. Le ragazze subivano violentissimi stupri di gruppo a un ritmo quotidiano. Chi riusciva a completare il pagamento del riscatto veniva condotto, senza più il cellulare a disposizione, in un’altra località del Nord del Sinai. Quindi, svincolati dal debito a dal ricatto, i profughi venivano liberati presso la frontiera israeliana in gruppi di 15/20. Dopo la campagna internazionale e le pressioni sull’Egitto affinché i ragazzi africani fossero liberati, i trafficanti hanno affrettato i tempi. Molti profughi africani sono stati arrestati al confine dalla polizia egiziana e trasferiti nelle carceri militari, accusati di immigrazione illegale e destinati al rimpatrio coatto. Altri gruppi hanno raggiunto lo stato ebraico, dove sono stati identificati, condotti in un centro di accoglienza e quindi affidati alle cure dei Medici per i Diritti Umani di Jaffa. Oggi restano a Rafah, nel frutteto di Abu Khaled, da 40 a 50 africani, fra cui sei donne.</p>
<p>Dopo la denuncia scritta da EveryOne, sottoscritta da una rete di Ong e presentata alle autorità ufficiali dell’Egitto e al Parlamento europeo, la delegazione Ue al Cairo ha esercitato pressione diplomatica sul governo della Repubblica Araba, chiedendo un intervento delle forze di sicurezza a Rafah e lungo le zone di confine. Per l’ennesima volta, anziché attuare un’irruzione nel campo di detenzione gestito dai predoni, le autorità hanno chiesto, invano, la mediazione dei capi delle 12 tribù beduine del nord del Sinai. Contemporaneamente, hanno aumentato l’attività delle pattuglie di frontiera. Ieri, venerdì 14 gennaio, la polizia ha intercettato un gruppo di trafficanti nell’area di Rafah. I criminali sono riusciti a fuggire, abbandonando 250 chili di cocaina e altre droghe pesanti. Sempre lungo il confine vi sono state operazioni contro i traffici umani dei predoni beduini, di cui le autorità non hanno diffuso i particolari. Di certo vi è che le forze dell’ordine, quando fermano i migranti africani, non cercano neppure di verificare chi fra di loro abbia diritto a protezione internazionale, nonostante le raccomandazioni espresse recentemente dall’Alto Commissario Onu per i Rifugiati attraverso il portavoce Adrian Edwards, che ha invitato il governo egiziano ad effettuare ogni sforzo possibile per determinare chi abbia i requisiti del rifugiato e sia in cerca di protezione umanitaria.</p>
<p>Oggi pomeriggio è prevista la riunione fra i capi tribù beduini del governatorato del nord del Sinai, con la firma di un documento di impegno alla lotta contro il traffico di esseri umani. Contemporaneamente, prende il via a Tripoli, in Libia, la Conferenza sui Migranti Africani, cui partecipano parlamentari, intellettuali, giornalisti, medici e operatori umanitari di origine africana, provenienti da tutta Europa. L’Italia è rappresentata dall’onorevole Jean Léonard Touadi, parlamentare di origine congolese. Durante la Conferenza verrà fondata l’Unione internazionale dei migranti africani, organismo giuridico deputato al monitoraggio della condizione dei migranti africani e in particolar modo delle donne e dei bambini. La preoccupazione delle organizzazioni per i diritti umani che tutelano i profughi africani è che il meeting possa servire al dittatore libico Muammar Gheddafi per legittimare le sue politiche disumane nei riguardi dei migranti che in LIbia vengono arrestati dalle autorità, incarcerati e quindi deportati verso i paesi da cui sono fuggiti, per sottrarsi a persecuzioni e gravi crisi umanitarie. Kedija e Dawit, due giovani profughi eritrei liberati dai trafficanti e attualmente in Israele rivolgono un appello all’onorevole Touadi: “Onorevole, chieda alle Nazioni Unite e all’Unione europea di non abbandonarci e di aiutarci a trovare un posto dove vivere fino quando non si fermeranno guerre e persecuzioni nel nostro paese”.</p>
<p>Saturday, January 15, 2011, di Roberto Malini – Gruppo EveryOne</p>
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<title>Rifugiati nel Sinai: il 26° congresso FNSI-Federazione nazionale della Stampa Italiana approva appello all’Unione Europea</title>
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<dc:creator><![CDATA[Samuele]]></dc:creator>
<pubDate>Sat, 15 Jan 2011 23:24:34 +0000</pubDate>
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<description><![CDATA[14 gennaio 2011- Il 26° congresso della Fnsi a Bergamo – si legge in una nota ufficiale della Federazione- ha approvato all’unanimità il seguente appello all’Unione Europea: “Il Ventiseiesimo Congresso della Federazione nazionale della Stampa, riunito a Bergamo, lancia un appello all’Unione europea e alla Comunità internazionale perché assumano immediatamente un’iniziativa volta alla liberazione dei […]]]></description>
<content:encoded><![CDATA[<p>14 gennaio 2011- Il 26° congresso della Fnsi a Bergamo – si legge in una nota ufficiale della Federazione- ha approvato all’unanimità il seguente appello all’Unione Europea: “Il Ventiseiesimo Congresso della Federazione nazionale della Stampa, riunito a Bergamo, lancia un appello all’Unione europea e alla Comunità internazionale perché assumano immediatamente un’iniziativa volta alla liberazione dei 250 africani, in gran parte eritrei, tenuti incatenati dai predoni nel Sinai ormai da quasi tre mesi, con la promessa di liberarli soltanto in cambio di un riscatto di 8 mila dollari.</p>
<p>Si conosce il luogo della detenzione, dieci container metallici in un frutteto alla periferia sud della città egiziana di Rafah, al confine con Israele. Si conosce il nome del capo dei predoni, il beduino palestinese Abu Khaled, che si avvale di 20 uomini armati, e si conoscono addirittura i cellulari dei sequestratori, prestati agli ostaggi per chiedere i soldi del riscatto ai parenti emigrati in Europa e in altri paesi. Il governo italiano ha gravi responsabilità, perché molte decine di questi sequestrati furono respinti in mare su ordine delle nostre autorità, nel giugno del 2010, senza poter presentare la richiesta di asilo politico che, nel caso di cittadini eritrei, viene sempre accettata, a causa del regime sanguinario dal quale fuggono. Otto ostaggi sono già stati uccisi dai predoni, quattro, impossibilitati a pagare il riscatto, sono stati sottoposti a un’operazione di espianto degli organi mentre alcune donne sono state ripetutamente violentate.</p>
<p>Il Ventiseiesimo Congresso della Fnsi nel rilanciare la domanda che don Mussie Zerai dell’Agenzia umanitaria Habeshia e i dirigenti della Onlus EveryOne hanno posto nei giorni scorsi: cosa sarebbe mai successo a livello mediatico e politico, se tra i 250 sequestrati ci fossero stati cittadini europei o nordamericani o giapponese, impegna i direttori delle agenzie, dei giornali su carta e online, e tutte le emittenti radiotelevisive italiane, perché diano il massimo risalto alle notizie che vengono dal Sinai”.</p>
<p>sito: www.fnsi.it –</p>
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<title>Rifugiati sequestrati nel Sinai, Frattini risponde a Pezzotta e ad altri parlamentari</title>
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<pubDate>Sat, 15 Jan 2011 23:07:04 +0000</pubDate>
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<description><![CDATA[11 gennaio 2011- Il Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini ha risposto alla lettera inviata in data 10 dicembre da alcuni parlamentari – primo firmatario l’on.le Savino Pezzotta – sulla questione dei rifugiati tenuti in ostaggio nel Sinai. Il Ministro ha confermato l’immediata attivazione della Farnesina con le Autorità egiziane, “rappresentando l’attenzione e la sensibilità […]]]></description>
<content:encoded><![CDATA[<p>11 gennaio 2011- Il Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini ha risposto alla lettera inviata in data 10 dicembre da alcuni parlamentari – primo firmatario l’on.le Savino Pezzotta – sulla questione dei rifugiati tenuti in ostaggio nel Sinai. Il Ministro ha confermato l’immediata attivazione della Farnesina con le Autorità egiziane, “rappresentando l’attenzione e la sensibilità con cui le Istituzioni italiane e l’opinione pubblica guardano alla vicenda ed esprimendo loro il vivo auspicio che si possa arrivare rapidamente a una soluzione positiva”.</p>
<p>Il Ministro Frattini nella sua lettera ricorda che la “nostra Ambasciata al Cairo ha mantenuto stretti contatti operativi con le Autorità egiziane competenti e continua tuttora a svolgere un’azione di consultazione a tutti i livelli con il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero della Famiglia e della Popolazione del Cairo”. (…) Le controparti hanno tenuto ad evidenziare come il Governo e le forze di sicurezza egiziane siano impegnati in prima linea per contrastare il traffico di esseri umani condotto dai beduini, fenomeno di cui il Paese si considera vittima”.</p>
<p>“Le stesse Autorità egiziane – scrive Frattini- hanno precisato che, a loro giudizio, l’episodio si inquadra nel più generale fenomeno del continuo flusso di emigranti africani che attraversano il Sudan, l’Egitto e il Sinai per cercare di giungere in Israele o in altre destinazioni (trattandosi quindi di un flusso migratorio che non porta all’Italia o all’Europa)”</p>
<p>Per quanto concerne l’interessamento dell’Unione europea, il Ministro Frattini ricorda di avere sensibilizzato la Commissione “sull’importanza che attribuiamo alla vicenda” e di aver segnalato la questione anche alla Delegazione dell’Unione europea al Cairo“(…)che ha compiuto un primo e importante passo presso il Ministero degli Esteri egiziano al fine di ottenere informazioni e avviare possibili iniziative, cui da parte italiana non si mancherebbe di concorrere”.</p>
<p>Il Ministro ricorda che sono stati intrapresi contatti anche con l’UNHCR e l’OIM.</p>
<p>Frattini conclude assicurando che il Governo sta continuando ad agire in varie direzioni per giungere ad una soluzione positiva del caso e che non cesserà di seguire con la massima attenzione la questione per superare questa drammatica vicenda umanitaria e giungere alla liberazione dei prigionieri.</p>
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<title>Eritrea: economia in crescita nel 2011</title>
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<dc:creator><![CDATA[Samuele]]></dc:creator>
<pubDate>Sat, 15 Jan 2011 22:41:18 +0000</pubDate>
<category><![CDATA[Notizie dall'Eritrea]]></category>
<category><![CDATA[economia]]></category>
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<description><![CDATA[Secondo l’Economist si prevede che l’Eritrea sia la terza economia in più rapida crescita del 2011. La stima pubblicata nel “The World in 2011″ attesta che in Eritrea si verificherà una crescita del 10% per il prossimo anno ponendo il paese al terzo posto dietro Qatar e Ghana. Il Qatar con la sua economia fondata […]]]></description>
<content:encoded><![CDATA[<p><a href="http://www.shaleku.it/wordpress/wp-content/uploads/2011/01/eritrea_20101030_INC55012.gif"><img loading="lazy" class="alignright size-full wp-image-951" title="eritrea_20101030_INC550[1]" src="http://www.shaleku.it/wordpress/wp-content/uploads/2011/01/eritrea_20101030_INC55012.gif" alt="" width="186" height="243" /></a>Secondo l’Economist si prevede che l’Eritrea sia la terza economia in più rapida crescita del 2011. La stima pubblicata nel “The World in 2011″ attesta che in Eritrea si verificherà una crescita del 10% per il prossimo anno ponendo il paese al terzo posto dietro Qatar e Ghana. Il Qatar con la sua economia fondata sul settore del gas è la più veloce crescita economica al mondo per il secondo anno di fila. L’Eritrea è un nuovo arrivato con la maggior parte della crescita proveniente dal settore minerario, è scritto sulla rivista, e da una fabbrica di cemento cinese che si prevede inizierà a operare nel 2011. (da <a href="http://www.eritreaeritrea.com">www.eritreaeritrea.com</a>)</p>
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<title>Eritrea, giornalisti sempre più sotto tiro</title>
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<dc:creator><![CDATA[Samuele]]></dc:creator>
<pubDate>Thu, 04 Nov 2010 22:57:33 +0000</pubDate>
<category><![CDATA[Notizie dall'Eritrea]]></category>
<category><![CDATA[diritti umani]]></category>
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<description><![CDATA[Il governo eritreo sta accentuando la repressione politica nei confronti dei giornalisti con arresti arbitrari e torture. Lo denuncia l’associazione dei giornalisti dell’Africa orientale (Eaja) che ne chiede la liberazione esprimendo sdegno e condanna per i metodi usati da Asmara nei confronti dei reporter detenuti in uno stato di “brutale oppressione”. ”Dal settembre del 2001 […]]]></description>
<content:encoded><![CDATA[<blockquote>
<p style="text-align: justify;">Il governo eritreo sta accentuando la repressione politica nei confronti dei giornalisti con arresti arbitrari e torture. Lo denuncia l’associazione dei giornalisti dell’Africa orientale (Eaja) che ne chiede la liberazione esprimendo sdegno e condanna per i metodi usati da Asmara nei confronti dei reporter detenuti in uno stato di “brutale oppressione”.</p>
<p style="text-align: justify;"><span id="more-797"></span></p>
<p style="text-align: justify;">”Dal settembre del 2001 a oggi, sono circa 30 i giornalisti arrestati in Eritrea. Non hanno la possibilità di avere un processo, sono sottoposti a tortura e vivono in condizioni disperate. Cinque di loro sono morti, mentre altri sono detenuti in orrende prigioni, o reclusi in campi militari segreti dove vengono torturati”. Durissimo verso Asmara il segretario generale dell’Eaja Omar Faruk Osman: ”Il governo eritreo è il peggior nemico della libertà di stampa e dei diritti umani”. L’associazione denuncia inoltre ”l’apatia da parte della comunità internazionale” su questo tema e chiede che ”le sanzioni votate nel dicembre del 2009 contro l’Eritrea vengano implementate senza alcuna esitazione” perché il ”regime in questi anni non ha cambiato il suo atteggiamento nel rispetto dei diritti umani”. Nel dicembre del 2009 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato una serie di sanzioni contro l’Eritrea che comprende il divieto alla vendita di armi. La risoluzione aveva avuto il voto contrario della Libia e l’astensione della Cina. Il regime di Asmara, che ha probabilmente il più alto bilancio in armamenti del mondo, supporta Al Shabaab in Somalia più altri gruppi ribelli, tra cui il Fronte di liberazione nazionale dell’Ogaden. A proposito di questi ultimi, 200 membri dell’Onlf sono sbarcati segretamente qualche giorno fa lungo le coste del Somaliland, regione del nord-ovest della Somalia, autoproclamatosi stato ma da nessuno riconosciuto come tale. Lo ha comunicato il ministro dell’Interno della regione. ”Due imbarcazioni con a bordo circa 200 uomini armati, forse membri dell’Onlf, sono sbarcate sulla costa” – ha detto il ministro – tre camion hanno poi trasportato i ribelli nelle regioni collinari interne al confine tra Somalia, Gibuti ed Eritrea. Le nostre forze armate li stanno cercando”. Il sospetto è che i ribelli siano stati ‘addestrati e armati in in Eritrea. L’Eritrea è uno stato totalmente militarizzato: il servizio militare è obbligatorio per tutti e dura dai 18 ai 45 anni, una vita. Il paese è poverissimo, l’economia boccheggia. I diritti umani sono calpestati quotidianamente. Molti giovani tentano così di fuggire e rifugiarsi in Europa. Ma spesso il regime colpisce i famigliari rimasti. Ma spesso il regime colpisce i famigliari rimasti. Così per molti l’Eritrea è la più grande prigione a cielo aperto del mondo.</p>
</blockquote>
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<title>Ad Asmara, piccole… grandi biblioteche crescono</title>
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<dc:creator><![CDATA[Samuele]]></dc:creator>
<pubDate>Mon, 01 Nov 2010 21:55:35 +0000</pubDate>
<category><![CDATA[Notizie dall'Eritrea]]></category>
<category><![CDATA[Asmara]]></category>
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<description><![CDATA[L’ultima notizia in ordine di tempo l’ha data ‘Shabait’ alcuni giorni fa: la biblioteca pubblica di Asmara, ha riferito l’agenzia stampa che fa capo al ministero dell’Informazione, ha acquistato 17.000 nuovi libri per rispondere in particolare alle esigenze formative degli studenti universitari. Grazie al contributo di alcuni partner, ha detto il direttore della biblioteca, Ephrem […]]]></description>
<content:encoded><![CDATA[<blockquote><p>L’ultima notizia in ordine di tempo l’ha data ‘Shabait’ alcuni giorni fa: la biblioteca pubblica di Asmara, ha riferito l’agenzia stampa che fa capo al ministero dell’Informazione, ha acquistato 17.000 nuovi libri per rispondere in particolare alle esigenze formative degli studenti universitari. Grazie al contributo di alcuni partner, ha detto il direttore della biblioteca, Ephrem Matewo, d’ora in avanti saranno consultabili molti più testi in particolare per scienze informatiche, ingegneria, medicina, scienze politiche, sport, economia e cinema. Ad Asmara è attiva da anni anche un’altra biblioteca, nota come ‘Pavoni social centre’ e retta dai missionari della Congregazione dei Figli di Maria Immacolata, meglio conosciuti come pavoniani. Il ‘Pavoni social centre’, dicono fonti della MISNA, si sta sempre più caratterizzando come biblioteca sull’Africa, privilegiando la scelta di testi che riguardano direttamente il continente e in particolare il Corno d’Africa. Una ricchezza culturale a beneficio degli eritrei che attira anche ricercatori e studenti stranieri alla ricerca di testi altrimenti più difficilmente reperibili. Attualmente, la biblioteca dei pavoniani – presenti nel paese dal 1969 – ha un catalogo di circa 45.000 testi sempre più orientato verso temi di antropologia, linguistica e storia.</p></blockquote>
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<title>Profughi eritrei in Libia: interviene la Commissione europea</title>
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<dc:creator><![CDATA[Samuele]]></dc:creator>
<pubDate>Fri, 29 Oct 2010 13:33:53 +0000</pubDate>
<category><![CDATA[Notizie dall'Eritrea]]></category>
<category><![CDATA[profughi]]></category>
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<description><![CDATA[“Ora abbiamo l’Onu, la Commissione europea e numerose organizzazioni per i diritti umani che seguono i profughi eritrei ed è impensabile un’azione di rimpatrio coatto”: è soddisfatto Roberto Malini del Gruppo EveryOne dopo aver ricevuto un’importante lettera dal Direttorato Medio Oriente e Sud del Mediterraneo della Commissione europea. Gli oltre 200 profughi eritrei che hanno vissuto quest’estate l’inferno (il respingimento dall’Italia, […]]]></description>
<content:encoded><![CDATA[<blockquote>
<p style="text-align: justify;">“Ora abbiamo l’Onu, la Commissione europea e numerose organizzazioni per i diritti umani che seguono i profughi eritrei ed è impensabile un’azione di rimpatrio coatto”: è soddisfatto Roberto Malini del Gruppo EveryOne dopo aver ricevuto un’importante lettera dal Direttorato Medio Oriente e Sud del Mediterraneo della Commissione europea.</p>
<p style="text-align: justify;">Gli oltre 200 profughi eritrei che hanno vissuto quest’estate l’inferno (il respingimento dall’Italia, la prigionia nei lager di Gheddafi, la fame, la sete, le violenze da parte della polizia libica…) vedono sfumare il pericolo più grande, quello di essere rimpatriati in Eritrea dove rischiavano di finire in altri campi di concentramento, nelle mani di altri torturatori, a subire violenze o anche a trovare la morte. Questa prospettiva agghiacciante sembra essersi allontanata definitivamente, anche grazie alla mobilitazione lanciata da Gruppo EveryOne e da NoirPink – modello Pandemonium che ha ottenuto l’attenzione prima dell’Alto Commissario Onu per i Rifugiati e ora della Commissione Europea.</p>
<p style="text-align: justify;"><span id="more-755"></span></p>
<p style="text-align: justify;">“La Commissione europea ha espresso al governo libico la disponibilità ad assistere le autorità in ogni passo riguardante i diritti degli eritrei. Questo caso evidenzia come sia ormai necessario stabilire un dialogo fra Libia e Unione europea e un’effettiva collaborazione su questa delicata materia, per stabilire procedure efficaci” scrive il Direttorato Medio Oriente e Sud del Mediterraneo a Roberto Malini.</p>
<p style="text-align: justify;">“La Commissione ha recentemente raggiunto un accordo per definire un programma formato da una serie di iniziative mirate a rendere efficace il dialogo e la cooperazione nell’area delle migrazioni. E’ un’agenda che tocca vari aspetti, come la protezione dei rifugiati, il miglioramento delle condizioni di vita nei centri di detenzione, i rimpatri volontari, la gestione dei flussi regolari e irregolari, il controllo dei confini, la cooperazione per lo sviluppo dell’Africa Subsahariana. La Commissione è convinta di poter iniziare la cooperazione per la protezione dei rifugiati nei mesi prossimi” scrive ancora il Direttorato della Commissione europea</p>
<p style="text-align: justify;">Inutile negare il fatto che la situazione dei profughi eritrei sia ancora molto difficile: dopo essere stati liberati dai campi di prigionia ed aver ottenuto un permesso di soggiorno temporaneo, sono stati abbandonati a loro stessi in Libia, senza un soldo e senza alcun mezzo di sostentamento. E’ un punto che desta preoccupazione nella stessa Commissione, come la mancanza di garanzie che gli eritrei potranno, come pure previsto dal diritto internazionale, fare domanda di asilo politico.</p>
<p style="text-align: justify;">La Commissione, inoltre, denuncia come le organizzazioni non governative attive nel campo dei diritti umani “non sono in grado di monitorare la situazione nei centri [di detenzione] sul territorio libico a causa della difficoltà a ottenere autorizzazioni alle visite da parte delle autorità libiche”. Con la complicità delle istituzioni italiane, la Libia, sul fronte dei diritti, rimane un’inquietante buco nero. Che, almeno questa volta, è stato trafitto dal raggio di luce che tutti insieme abbiamo acceso con le nostre lettere. La battaglia, però, è ben lontana dall’essere conclusa…</p>
<p style="text-align: justify;">Le violazioni dei diritti delle donne che fuggono da paesi in crisi umanitaria sono purtroppo una prassi, da parte delle autorità italiane, che hanno dimenticato ormai anche il pericolo di subire abusi e il bisogno di protezione che riguardano gli individui più deboli. Contemporaneamente alla difficile campagna per i rifugiati eritrei in Libia, abbiamo inseguito con determinazione un’altro traguardo vitale: evitare la deportazione da Rieti di Saba Gdey, una donna coraggiosa che, dopo aver subito prigionia, tortura, stupri e altri trattamenti inumani nel suo paese e in Libia, ha raggiunto le coste di Lampedusa grazie a un pericoloso “viaggio della speranza”.</p>
<p style="text-align: justify;">Con un’azione fulminea il Gruppo EveryOne e altre Ong hanno evitato l’imminente deportazione in Libia – e di lì in Eritrea – della donna. A Rieti, dove viveva, Saba è stata arrestata in base alla legge 94/2009, per il “reato di clandestinità” e il suo rimpatrio coatto era già deciso. Dietro una mozione di EveryOne, Agenzia Habeshia e alcune associazioni umanitarie di Rieti, i parlamentari radicali hanno presentato tempestivamente un’opposizione alle autorità reatine e un’interrogazione al ministro degli Esteri, salvandole la vita: per ora la pericolosa deportazione è stata scongiurata. Non bisogna però, neanche qui, allentare la vigilanza.</p>
</blockquote>
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